Riflessioni sul Perdono, sulla Dignità e sulla Riconciliazione

Yahya Sergio Yahe Pallavicini

1. I negoziati di pace, generalmente, sono incentrati sulle dimensioni politica ed economica. Quale è la Sua percezione della necessità di toccare aspetti più profondi e genuini della riconciliazione e come si può ottenere questo?

I negoziati di pace sono troppo spesso organizzati da responsabili istituzionali che sembrano dimenticare l’essenza della Pace e il valore spirituale che tutte le confessioni religiose contribuiscono a dare a questo principio. Si assiste troppo spesso a tre tavoli per la Pace che non comunicano tra di loro: quello degli economisti concentrati sugli scambi commerciali e sulle speculazioni del mercato finanziario, quello dei politici condizionato dagli interessi strategici nazionali e internazionali e dall’amministrazione del potere e, infine, quello dei teologi che dialogano o pregano contribuendo a dare segnali di speranza e fratellanza.
Occorre rinnovare la prospettiva dei negoziati per la pace organizzando un nuovo metodo di lavoro che metta in comunicazione questi tre settori e che favorisca una nuova sinergia tra spiritualità, politica ed economia, senza confusioni e sovrapposizioni, ma integrando le sensibilità culturali, le esperienze storiche e le competenze professionali necessarie a garantire lo sviluppo sociale.
Riconciliazione significa partire dalla consapevolezza del senso più profondo del conflitto interno ed esterno e scoprire tutte le componenti utili per far prevalere, nell’intenzione onesta, nell’analisi obiettiva e nelle soluzioni concrete, i mezzi, la pazienza e la determinazione per favorire la maturazione di un nuovo rapporto costruttivo, rispettoso e pacifico con se stessi e con ogni altra persona. Credo che sia indispensabile formare una nuova classe dirigente che sappia integrare armoniosamente le qualificazioni spirituali e intellettuali con la responsabilità di mediazione sociale o di rappresentanza politica delle reali esigenze di un popolo nel dialogo, nel confronto, nella cooperazione alla crescita dell’umanità e nel rispetto del contesto giuridico, storico e culturale, senza anacronismi nostalgici, utopie ideologiche o prevaricazioni apologetiche.

2. Quali sono le condizioni nelle quali, al di là dell’assicurare gli interessi della parti in conflitto, può essere stabilito un processo incentrato su un senso di equità e dignità?

Rimane fondamentale garantire il rispetto dell’equità nella dignità ad ogni persona, ad ogni popolo, ad ogni cultura. I conflitti possono essere causati facilmente dal rancore o dal desiderio di rivalsa per un complesso di inferiorità o per una volontà negata di espressione legittima della propria dignità spirituale, culturale, personale. La negazione della dignità di una persona o la subordinazione della sua dignità ad una gestione economica, politica, culturale o confessionale che misconosce la pienezza e la sacralità della dignità di ogni altro uomo e donna è concausa di alcuni conflitti. Non ci possono essere double standards in merito al sacro principio della dignità della vita di ogni creatura. Allo stesso tempo, occorre rispettare la molteplicità delle caratteristiche e delle declinazioni dell’identità personale, familiare, culturale e spirituale di ogni cittadino e di ogni popolo senza artificiose omologazioni. Rispettare l’unità nella molteplicità del genere umano corrisponde alla più coerente interpretazione del pluralismo democratico dove la specificità di ogni individuo ha una sua dignità riconosciuta che non può essere mai negata o sminuita. Bisogna evitare l’artificio e il danno delle omologazioni e delle assimilazioni, delle ghettizzazioni e delle discriminazioni, dei colonialismi e dei totalitarismi, degli esclusivismi elitari e delle assolutizzazioni ideologiche.

3. Quanto il perdono è essenziale alla dimensione della riconciliazione? Alla radice della Sua cultura politica e/o della Sua fede religiosa quali sono i principi che implicano o escludono il perdono? Quali versi o detti che fanno parte del Suo personale patrimonio spirituale possono, nella sua opinione, avere un significato universale

Nell’Islam il verbo istaghfara, “chiedere perdono”, si riconduce alla radice del nome divino Al-Ghafur, “Colui che perdona”. Il credente è sempre richiamato alla propria responsabilità di ricercare un pentimento sincero, ma anche alla consapevolezza che l’individuo in quanto tale è sempre in difetto di fronte a Dio. La radice ghafara evoca proprio il fatto che Allah “ricolma” con la Sua Grazia le mancanze e i difetti del credente, nel momento in cui questi si rivolge a Lui pentito. Istighfar è anche il nome della “richiesta di perdono”, parte integrante e imprescindibile delle ritualità sia esteriori che interiori del buon musulmano.
La riconciliazione corrisponde alla naturale conseguenza del riconoscimento di un errore che è degenerato in un conflitto. Tale riconoscimento va aldilà delle proprie o altrui ragioni e non richiede un chiarimento analitico sulle colpe commesse e sui danni subiti ma prevede un rinnovamento sincero della mentalità che faccia prevalere la volontà irreversibile e imprescindibile di un accordo senza il quale ci può essere solo un reciproco fallimento.
Si può essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni per l’ignoranza di qualche individuo sulla nostra religione o per il misconoscimento del valore autentico del Sacro in ogni via spirituale.
Si può essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni contro la nostra identità religiosa per una errata associazione con un fatto di cronaca o un drammatico incidente provocato da un cattivo fedele o da un fanatico terrorista.
Si può essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni per colpa di un subdolo gioco di strumentalizzazione di interessi da parte di qualche individuo disonesto, o di qualche politico ambizioso, o di qualche organizzazione di rivoluzionari violenti.
Il mahatma Gandhi è stato ucciso da un folle criminale. Il popolo ebraico è stato sterminato dai nazisti e perseguitato dalle leggi razziali della dittatura fascista. Gli oppositori, gli intellettuali e i credenti cristiani e musulmani russi e buddisti e musulmani cinesi sono stati soppressi dai rispettivi regimi comunisti. L’esercito serbo ha compiuto la pulizia etnica nei confronti dei musulmani. Tralasciando le perversità del colonialismo in Asia e in America nei confronti dei buddisti e degli indios, le guerre di interesse politico travestite da guerre di religione hanno fatto combattere per decenni in Europa cattolici contro protestanti, cattolici contro ortodossi, e in Medio Oriente, sunniti contro sciiti, musulmani contro ebrei. In nome di quale ragione? In nome di quale giustizia? In nome di quale Dio, se adoriamo tutti lo Stesso Creatore, Signore dell’universo?
Si può essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni ma bisogna avere la forza della fede di saper affrontare la vergogna della propria e altrui ignoranza e della propria e altrui ipocrisia e della propria e altrui ribellione per far cessare i conflitti fratricidi e reagire con intelligenza e civiltà verso la riconciliazione e la ricostruzione e il riorientamento tradizionale della natura umana illuminata dalla Grazia della Sua Misericordia.

4. Il perdono richiede qualche forma di pentimento da parte di coloro a cui il perdono viene offerto? Il perdono ha condizioni o è senza condizioni?

Il perdono che una persona esprime a se stesso o ad un altro costituisce già la possibilità di accedere ad una nuova condizione che è il superamento dell’errore e del conflitto. Questo superamento è più vero e più forte se partecipa ad un travaglio e ad uno sforzo di autocritica consapevole e onesta nel quale il pentimento è sincero e incondizionato. Ma ognuno dovrebbe saper chiedere perdono per se stesso e per il prossimo sulla base di un reale pentimento senza pretendere preventivamente di ricevere una ammissione di colpevolezza dall’altro prima di assumersi il proprio dovere e la propria responsabilità. L’obiettivo rimane infatti la riconciliazione tramite il perdono con pentimento e non lo scetticismo sulla sincerità delle intenzioni del nostro interlocutore. Si tratta di smettere di vedere l’altra persona come un avversario ma di sapere finalmente riconoscere ogni persona come un essere umano capace di sbagliare, di imparare dagli errori e di smettere di farli per essere perdonato e riconciliarsi con se stesso e il prossimo.

Basandosi sulla Sua esperienza nel lavorare con la riconciliazione e con il perdono, quali sono la struttura e le attività che offrirebbe per un consiglio universale sulla riconciliazione?

Immagino due scenari prioritari: i rapporti tra giovani ebrei e musulmani in Terra Santa e i rapporti tra i credenti musulmani e i non credenti occidentali nel mondo moderno. Come religiosi musulmani e cittadini europei abbiamo spesso favorito una efficace mediazione tra Oriente e Occidente, tra Tradizione e Modernità, tra immigrazione e cittadinanza prevenendo i conflitti psicologici dovuti alla crisi di identità e alla complessità delle sfide intellettuali e sociali che l’era della globalizzazione provoca.
La dimenticanza della propria identità e la confusione sulle proprie radici viene troppo spesso esasperata dalle suggestioni di potere o dalle necessità di sopravvivenza. In questa situazione, l’incomprensione del contesto e la difficoltà di non sapersi rapportare con chiarezza nei confronti delle istituzioni e le sue leggi, della cultura del Paese e la sua lingua, della società e della sua mentalità dominante determinano disagi e insicurezze che si manifestano con una chiusura di comunicazione e un potenziale conflitto.
L’integrazione degli immigrati in Europa, la partecipazione matura e responsabile dei credenti musulmani nello sviluppo sociale e culturale dell’Occidente, il riconoscimento della dignità spirituale dei fedeli musulmani da parte delle istituzioni religiose e laiche, l’acquisizione di una consapevolezza diffusa sul valore della libertà e del pluralismo religioso rappresentano scenari che devono essere costruiti per permettere una sana riconciliazione tra minoranze religiose e potere politico senza confessionalizzare lo Stato ma senza ostacolare i credenti e indurre i cittadini a prescindere dalla naturalezza del proprio pensiero e devozione religiosa.
Occorre lavorare su due livelli complementari: da un lato rinnovare ai credenti la vocazione per la conoscenza sacra tramite il ricordo dell’universalità dei simboli, il ricordo delle origini celesti e del carattere autentico della vita che permette un dialogo che rafforza la fede e la gratitudine per il Creatore e stimola la fratellanza tra tutte le creature. Dall’altro lato, occorre investire per il rinnovamento del pensiero e della interpretazione quotidiana delle responsabilità personali, familiari, educative, professionali, sociali, politiche, economiche, culturali e spirituali nel quale il patrimonio ereditato da ogni giovane e nuovo cittadino sappia sintetizzare la ricchezza di un percorso storico e filosofico dell’umanità, un percorso nel quale gli errori e i conflitti tragici del passato possano essere veramente superati per un perdono divino e per una riconciliazione che sappia corrispondere all’inizio di un nuovo ciclo di dignità e coesione di ogni uomo o donna capaci di integrare l’azione pacificante dello spirito in tutti i campi dell’esistenza.

 

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