Riflessioni sul Perdono, sulla Dignità e sulla Riconciliazione
Antonio Ferrari

1. I negoziati di pace, generalmente, sono incentrati sulle dimensioni politica ed economica. Quale è la Sua percezione della necessità di toccare aspetti più profondi e genuini della riconciliazione e come si può ottenere questo?
I negoziati di pace si conducono sempre obbedendo a due comandamenti essenziali: la politica e l’economia. Ma è altrettanto vero che la stretta gabbia dove convivono soltanto politica ed economia li condannano quasi sempre al fallimento, o al massimo ad una temporanea e illusoria convinzione del contrario. In realtà, si ritiene erroneamente che la riconciliazione possa essere comprata, quasi sempre con il denaro. “Ti faccio vivere meglio e avrai meno ragioni per rivendicare i tuoi diritti e per odiare chi non li rispetta”. Credo che questo percorso sia insufficiente, quando non esiziale. Tanto per cominciare bisognerebbe, accanto alla politica e all’economia, esaltare il valore dell’educazione, dell’istruzione. È pur vero che anche l’educazione è figlia della volontà politica, ma è anche un impegno che ha offerto esempi importanti: non eclatanti ma incisivi. Educazione significa studiare e abituarsi a frequentare la tolleranza, con l’obiettivo di conoscere meglio l’altro, e saperlo accettare senza rinnegare le proprie idee.
2. Quali sono le condizioni nelle quali, al di là dell’assicurare gli interessi della parti in conflitto, può essere stabilito un processo incentrato su un senso di equità e dignità?
Che cosa sono “equità” e “dignità”? Parole che possono essere piene di significato, oppure un involucro vuoto. Se vi sono parti in aperto conflitto, magari secolare, ciascuno darà una differente interpretazione di equità e dignità. Il conflitto israeliano-palestinese, ad esempio, è un conflitto tra due diritti: quello di Israele di essere riconosciuto e di vivere entro confini sicuri; e quello dei palestinesi di avere il loro stato con frontiere riconosciute, e con capitale Gerusalemme-est. In un conflitto tra due diritti l’unica soluzione è il compromesso. Ma chi può presentare alle parti un compromesso? Amos Oz dice che “Il compromesso è vita”, perché la vita di ciascuno è in realtà una sommatoria di compromessi. Io penso che il compromesso per risolvere un conflitto debba essere garantito da una terza parte: “Il ruolo del terzo”, come diceva Norberto Bobbio.
3. Quanto il perdono è essenziale alla dimensione della riconciliazione? Alla radice della Sua cultura politica e/o della Sua fede religiosa quali sono i principi che implicano o escludono il perdono? Quali versi o detti che fanno parte del Suo personale patrimonio spirituale possono, nella sua opinione, avere un significato universale
Chiarisco un pensiero: il perdono è una scelta individuale, e non collettiva. La riconciliazione, invece, può essere anche la scelta della volontà di una nazione, di uno stato, di un popolo. Meglio quindi concentrarsi preliminarmente sulla conquista della riconciliazione. Ancora una volta si torna all’educazione. Mi aveva colpito l’iniziativa di un gruppo di studio e di lavoro, che aveva messo assieme famiglie israeliane e palestinesi vittime della violenza e del terrorismo. C’ era una donna israeliana, che perse un figlio in un attentato su un autobus, e una donna palestinese, madre di un kamikaze. Le due donne non soltanto raccontavano la loro reciproca e dolorosa esperienza, ma ciascuna, dopo aver sfogato la propria dolorosa passione, doveva ripetere la storia e le argomentazioni dell’altra. Cercare di capire è essenziale. C’è chi sostiene che una vera riconciliazione preveda una lunga attesa, di almeno un paio di generazioni. E che i risultati saranno possibili soltanto se, nel frattempo, si consenta ai bambini di entrambe la parti di vivere assieme, di studiare assieme, di giocare assieme, di confrontarsi, di abituarsi insomma ad ascoltare le ragioni dell’altro.
4. Il perdono richiede qualche forma di pentimento da parte di coloro a cui il perdono viene offerto? Il perdono ha condizioni o è senza condizioni?
Il perdono, come ho detto prima, è una scelta individuale. Quindi, non è necessario che per offrirlo e dichiararlo vi sia il pentimento da parte di chi ha offeso. Quindi, parlare o meno di condizioni mi pare inesatto. I diplomatici tedeschi, in giro per il mondo, vengono invitati a domandare perdono ogni volta che si ripropone in una discussione, in un dibattito, in un evento pubblico, il ricordo dell’Olocausto. Iniziativa preziosa, ma non basta a cancellare l’orrore compiuto. Penso alle struggenti pagine del “dolore” di Marguerite Duras, dove parla di “condivisione della sofferenza”.
Sono tanti gli esempi: il paziente lavoro artistico-politico del grande direttore d’orchestra Daniel Barenboim; la paziente tessitura della Comunità di Sant’Egidio che, da sola, ha ottenuto la firma di due trattati di pace, nel Mozambico e nel Burundi; le associazioni dedicate al dialogo, come il Centro italiano per la pace in Medio oriente. E tanti altri. L’imperativo è uno solo: continuare instancabilmente a lavorare e a crederci, seguendo il culto della volontà. Che dovrebbe appartenere a tutti, che dovrebbe essere patrimonio comune di religiosi e laici.